Storie per sempre

Ricordiamo il dolore, dietro cerimonie e polemiche

 

Ebrei

Ebrei. Siano per sempre una spina del cuore e nella memoria, per tutti. Ci sono le giuste cerimonie, le necessarie polemiche. Ma non dimenticare altri piccoli particolari è necessario per capire non quello che è successo, ma il mistero dell’uomo.

Per miserabili premi, italiani come noi hanno tradito e consegnato l’ebreo perseguitato al destino del sacrificio. Per niente italiani come noi hanno agito a favore degli ebrei, li hanno salvati.

Questo mistero dell’uomo non è un’astrazione, è un fatto che tocchi con mano, oggi come ieri o l’altro ieri.

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Ho già raccontato che un navigato intellettuale che guidava un’istituzione culturale cattolica, mi chiese una storia della presenza ebraica nella nostra città, per farne alcune conferenze. Che non potei tenere, qualcuno gliele “sconsigliò”. Quella storia poi apparve sul settimanale cattolico della mia diocesi, ben accettata dal direttore che avevo informato della faccenda.

Lo ripeto non per parlare di un fatto mio, ma per constatare come ancora oggi in certi ambienti cattolici tradizionalisti si sia spaventati nel trattare di questi od altri argomenti.

Ho raccontato gesti di soccorso per gli ebrei durante la guerra. Ne ripropongo uno, pubblicato tre anni fa. Per non dimenticare. Sono storie per sempre.

I trentanove ebrei che Ezio Giorgetti ospitò nel suo albergo a Bellaria dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, riuscirono a salvarsi grazie a carte d’identità fornite loro da Virgilio Sacchini (1899-1994).
La vicenda ci è rivelata per la prima volta dalla dottoressa Patrizia Sacchini D’Augusta, nipote di Virgilio. Suo nonno in quei giorni era Commissario Prefettizio del Comune di Savignano sul Rubicone: «Era fascista, ma era anche un uomo buono ed estremamente generoso (con la sua Industria di Legnami e Imballaggi, prima che gli eventi bellici la distruggessero, aveva dato lavoro  a tanti Savignanesi ed era un padrone che rispettava profondamente gli operai) ed è per questo che né lui né gli altri membri della sua famiglia furono oggetto di ritorsioni da parte dei partigiani del luogo».
Virgilio Sacchini mise al corrente del suo intervento a favore degli ebrei ‘bellariesi’ soltanto il proprio figlio Marino.
Ascoltiamo ancora la dottoressa Patrizia Sacchini: «La storia mi è stata raccontata diversi anni fa da mio padre, Marino Sacchini, prendendo spunto da un articolo comparso sul Corriere di Rimini (29/09/1994). Alla fine della guerra mio nonno, Virgilio Sacchini, nato a Savignano sul Rubicone il 26 dicembre 1899, Cavaliere della Corona D’Italia, confidò a mio padre di avere aiutato quel gruppo di ebrei, nel 1943, a fuggire e a raggiungere il Meridione. Si diceva felice che tutto avesse avuto termine, poiché aveva messo a repentaglio, con il suo gesto, la sicurezza della sua famiglia».
Prosegue la dottoressa Sacchini: «Ezio Giorgetti (che, attraverso un amico comune, il Sig.Bertozzi, conosceva mio nonno) ottenne da mio nonno le famose carte d’identità in bianco che nel recente articolo pubblicato dal Corriere di Rimini in data 22/01/2007 risulterebbero essere state fornite dal Segretario Comunale di San Mauro Pascoli, Sig. Alfredo Giovanetti. Le carte d’identità appartenevano al Comune di Savignano sul Rubicone e mio nonno, pur correndo un serio pericolo, per il ruolo che ricopriva, non esitò a metterle a disposizione del gruppo di ebrei. Non so se questo fatto fosse noto al Maresciallo Carugno, al Sig.Giovannetti e a Don Emilio Pasolini, immagino che mio nonno avesse chiesto e ottenuto la garanzia del riserbo assoluto attorno al suo gesto. Mi fa immenso piacere offrire questo piccolo contributo alla vostra ricerca. Ricordo mio nonno sempre con tanto affetto e, da convinta antifascista, lo ringrazio di aver contribuito alla salvezza di quel piccolo gruppo di ebrei».
A parlare di carte d’identità fornite ad Ezio Giogetti da Alfredo Giovanetti fu la moglie dello stesso Giorgetti, Lidia Maioli nel volume curato da Bruno Ghigi nel 1980, «La guerra a Rimini», pag. 321.

Su Ezio Giorgetti, ecco una pagina che ho pubblicato nel 1989.

La storia che segue ha per protagonisti 39 ebrei, arrivati a Bellaria nell’albergo di Ezio Giorgetti dopo l’armistizio. Sono donne, uomini e bambini, originari della Germania, dell’Austria, dell’Jugoslavia e della Polonia, fuggiti l’11 settembre da un campo d’internamento veneto. Li ha mandati da Giorgetti una sua vecchia cliente, una contessa che da Asolo, dove abitava, aveva organizzato il viaggio di quel gruppo in camion fino alla Romagna.
«Arrivarono con una lettera di presentazione che li qualificava come ‘profughi stranieri’. Li accolsi», testimoniò Giorgetti in un’intervista: «Solo dopo qualche giorno, visti vani tutti i loro tentativi di noleggiare una barca da pesca e di allontanarsi via mare, ci dichiararono di essere ebrei e di rimettersi nelle mie mani».
Chiedono un’ospitalità che per i padroni di casa significa rischio della vita. Solo una decina hanno i soldi per pagarsi la retta-sfollati. Giorgetti e la moglie, Lidia Maioli, li accolgono, li aiutano, ricorrendo per consiglio ed appoggio anche al maresciallo dei Carabinieri di Bellaria, Osman Carugno; al segretario comunale di San Mauro, Alfredo Giovannetti; al vescovo di Rimini, monsignor Vincenzo Scozzoli e don Emilio Pasolini.
Uno degli scampati, Leopold Studeny, definì Carugno «il nostro protettore in tutti i momenti». Giovanetti fornisce carte d’identità in bianco che sono intestate a nomi falsi. Come falsi sono i timbri apposti sui documenti: riproducono lo stemma del Comune di Barletta, che era stato occupato dagli alleati. Quei timbri li ha lavorati un incisore di Rimini, Pietro Angelini. Don Pasolini procura materassi, coperte, biancheria e pane biscottato preparato dalle suore Maestre Pie.
Dopo due mesi, all’albergo di Giorgetti arrivano i nazisti. Gli ebrei sono trasferiti di notte ad Igea Marina, alla pensione Esperia. Pure lì giungono i tedeschi. Altro spostamento alla tenuta Torlonia di Cagnona di Bellaria. E di qui, nel dicembre 1943, per un’altra requisizione nazista, i profughi scappano alla pensione Italia di Gino Petrucci, dove sono presentati come «italiani all’estero» sfollati all’ultimo momento.
Gli alleati s’avvicinano, ma i sospetti di fascisti e nazisti aumentano. Gli ebrei, su consiglio di Carugno, decidono di inoltrarsi verso l’interno, a Madonna di Pugliano (Pesaro).
Nel settembre 1944, ad un anno dall’inizio della loro odissea, sono liberati dagli alleati, e trasferiti a Roma, dove rimangono sino al 2 giugno 1945, quando sono portati all’Ufficio trasporti di Riccione.
Carugno e Giorgetti saranno definiti in Israele «Giusti fra le genti».
«Polizia e carabinieri, nella nostra zona (da Viserba a Torre Pedrera) non si sono mai affannati per collaborare con gli occupanti», dice Guido Nozzoli, ricostruendo i momenti della clandestinità: «Per esempio, la squadra politica del Commissariato, come potemmo accertare dopo la Liberazione, aveva localizzato» un recapito dei Gap nei pressi di Torre Pedrera, «ma non venne mai a bussare a quella porta e non trasmise l’informazione né alla gendarmeria tedesca né alla sede del fascio. Neppure i Carabinieri, a cui era affidato il compito di reperire disertori e renitenti alla leva… se la son presa troppo calda». [Da «Rimini ieri. Dalla caduta del fascismo alla Repubblica, 1943-1946» di Antonio Montanari, ed. Il Ponte, Rimini 1989, pp. 94-95.]

“Aspetti di vita ebraica a Rimini” si legge anche qui.

[18.01.2010, anno V, post n. 26 (1117), © by Antonio Montanari 2010. Mail.]

Divieto di sosta. Antonio Montanari. blog.lastampa.it
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Storie per sempreultima modifica: 2010-01-18T18:07:57+01:00da rimino
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