Un poeta albanese

«Gli altri ci aspettano, noi li dimentichiamo»

Dritëro Agolli presentato da Ennio Grassi



Grazie alla cura editoriale di Ennio Grassi in collaborazione con Alketi Ylli, presso l’associazione bolognese «In forma di parole» (quaderno VII) è uscita una raccolta poetica di Dritëro Agolli, intellettuale e scrittore albanese nato nel 1931. Agolli, come annota Rosangela Sportelli, vive a Tirana. In Italia ha pubblicato (1993 e 1999) il romanzo satirico «Ascesa e caduta del compagno Zylo» (1973) la cui uscita a puntate su di una rivista in Albania fu interrotta dal governo. Saggista e sceneggiatore, Agolli è «noto e amato per la sua produzione in versi».

Il quaderno bolognese prende il titolo («Mia madre la bella Hatixhé») dalla prima composizione in cui Agolli racconta la propria nascita: «Là sull’ottomana, sopra il nudo pavimento, tornando dai campi figliò me» (1963). Il fare poetico di Agolli, osservano Grassi e Ylli, è caratterizzato dalle «parole della quotidianità» permeate di legami e di attese.

L’ultima composizione, per puro caso (l’ordinamento è cronologico), riassume il suo modo di scrivere e di leggere la vita. Racconta di quando egli parte «per andare altrove»: «A metà lascio le cose, non riesco a finirle; / sto sveglio la notte prima gli occhi come un gufo / ma le cose si mescolano come foglie al vento». Dimentica di avvertire l’amico, di lasciare il quotidiano miglio all’uccello, di pagare le solite bollette di acqua e luce, non vede il bottone che manca, cerca un laccio per le scarpe, non telefona ad un malato: «Poi in viaggio il rimorso mi affligge, come se chi lascio dietro, mi lanciasse addosso delle pietre».

Lirica umanissima, fatta non di astratte impressioni elitarie ma di pensieri correlati al vivere comune, essa fa scoprire (con la consapevolezza che rende più pungente il rimpianto) le nostre difficoltà di corrispondere alle attese altrui, di adempiere gli obblighi, di farci sentire vicini a chi cerca la nostra presenza come consolazione nel tempo che passa. Ogni giorno è un partire «per andare altrove», è un non riuscire a finire «tante cose». Scordarsi ogni giorno di qualcuna di queste cose non è un felice egoistico oblio, ma la causa di un tormento che ci svela le nostre debolezze, anzi «la» debolezza del vivere, il senso del limite che ci offusca nonostante l’affanno che ci prepara alla partenza: «Ma le cose si mescolano come foglie al vento».

Antonio Montanari

Un poeta albaneseultima modifica: 2006-03-02T15:57:55+01:00da rimino
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