Brava Jena

Antipolitici Finalmente si comincia a capire una cosa molto semplice: che la cosiddetta antipolitica è soltanto il frutto di una politica fatta male.
Riccardo Barenghi (appunto la Jena che elogio nel titolo e che tutti i giorni tranne il lunedì azzanna dal suo angolino della terza pagina della Stampa), ha scritto sul suo quotidiano un articolo di fondo intitolato «Politica rovesciata».

La definizione è spiegata nelle ultime righe del pezzo:
«L’antipolitica che da almeno quindici anni serpeggia, e a volte esplode come in questi giorni, non è solo una reazione alla politica. Questo è quel che si vede in superficie e facilmente si registra e commenta. Ma il problema è più grave e più serio: ossia che la politica è ormai diventata il suo contrario. Con i suoi metodi, i suoi privilegi, la sua chiusura nel Palazzo, il suo essere impermeabile a qualsiasi voce cerchi di penetrarla, la sua totale autoreferenzialità, inefficacia, incomprensibilità. Se non si capisce questo, non si capirà mai perché tredici anni fa è arrivato Berlusconi e oggi, dall’altra parte, Grillo. E la politica continuerà a barcamenarsi, cercando risposte difensive e contingenti, dimostrandosi sempre più debole, incapace di affrontare sul serio la sua crisi. A meno che non riesca miracolosamente a fare un’operazione di verità, prendendo atto di un fatto doloroso ma ormai palese: cioè di essere essa stessa l’antipolitica».

Ripeto con Jena: la politica odierna italiana è essa stessa antipolitica. Sono contento della conclusione di Barenghi perché qui sopra, in questo blog da un pezzo sostengo appunto tale tesi, e per dimostrare che non parlo a vanvera, documento tutto.

1. Politica chiusa, dolori aperti (23.12.2006).
A proposito del caso Welby scrivevo:
L’articolo di fondo del Foglio di oggi, che parte dal caso Welby per discutere del ruolo del partito radicale in Italia, è un esempio illuminante non di quell’antipolitica che Giuliano Ferrara rimprovera ai seguaci di Pannella (definiti «l’altra faccia della medaglia di un sistema politico chiuso»), ma di quell’antipolitica a cui lo stesso Ferrara partecipa discutendo dei sacri princìpi della gestione della cosa pubblica…

2. Allarme voto (27.5.2007):
Credo che la cosiddetta «antipolitica» sia soltanto l’espressione non soltanto del diffuso malessere che ormai tutti notano (anche  l’algido D’Alema), ma proprio la manifestazione di un progetto politico vero e proprio. Per far contare non i voti delle correnti dei partiti confluenti nel Partito democratico, ma i voti dei singoli cittadini. I quali hanno bisogno di respirare un’aria diversa da quella fumosa e nebbiosa delle segreterie nazionali, regionali, provinciali ed infine di quartiere. E magari di condominio.
I nostri politici di ogni colore si leggano sulla Stampa di ieri il testo di Luca Ricolfi : «Chi fa tutti i giorni il proprio dovere, ma non ha una rete di relazioni che lo sostiene e lo protegge, si accorge sempre più sovente che il gioco è truccato».
E su quella di oggi l’intervento di  Barbara Spinelli: «Se è veramente forte, il politico non s’indigna se criticato».

3. Non è antipolitica (31.5.2007):
La doccia fredda mi è venuta da quel passo dell’intervista in cui la prof. Flavia Franzoni, moglie di Romano Prodi, si dichiara «molto preoccupata dall’ondata di antipolitica» diffusa nel Paese. Ondata che si manifesta come «sfiducia nelle istituzioni».
La politica, ha detto la signora deve essere «senso civico». Sono d’accordo. Ma «senso civico» non significa obbedienza cieca ed assoluta alle decisioni che un governo può prendere anche in contrasto con le premesse programmatiche da cui è partito sia nella campagna elettorale sia nella presentazione alle Camere per ottenerne la fiducia.

4. No, tu no (16.6.2007)
Il ministro degli Esteri Massimo D’Alema non ha voluto sull’aereo di Stato l’inviato della «Stampa».
Con una fava ha preso due piccioni, come suol dirsi. Ha dimostrato di aver la stessa allergia di Berlusconi verso chi informa l’opinione pubblica (la stampa in genere non come testata).
E mi ha confermato nell’opinione che l’antipolitica non è nutrita dal risentimento dei cittadini verso i nostri rappresentati (si fa per dire), ma dalle mosse sbagliate degli stessi politici.

5. Veltroni a Torino (27.6.2007)
Mi ha convinto il punto in cui ha sostenuto che l’antipolitica non nasce dal cittadino che protesta, ma da chi soffia sul fuoco del populismo. E di populismo e di idee vecchie ce ne sono in entrambi gli schieramenti, come Veltroni ha dimostrato in vari passaggi.

6. Malaffari e politica (7.8.2007)
L’«Elzeviro» di Maurizio Viroli (La Stampa, 6.8.2007), intitolato «Antipolitica, la vecchia tentazione», m’ha fatto riaffiorare un ricordo tra il personale e lo storico.
Il fratello di mia madre, per meriti politici conquistati sul campo prima, dopo e durante la seconda guerra mondiale, doveva essere il sindaco della città subito dopo la Liberazione. Disse ai compagni del Pci, nel quale militava: «Burdèl, chi ruba va in galera». Scelsero ovviamente un altro.

7. Politica e «grande pubblico» (4.9.2007)
Ha ragione Enrico Letta nel concludere il suo intervento sulla «Stampa» di oggi che, se alla domanda di «un nuovo modello di partito», non sarà data una «risposta credibile», alla fine «prevarranno, in silenzio, altre logiche». […]
Per non farla lunga, signor sottosegretario, la invito a leggere un bell’articolo apparso domenica scorsa sul «Sole-24 Ore», a firma di Carlo Carboni, intitolato significativamente: «Antipolitica? No, è critica costruttiva».

8. Rosy Bindi, effetto Grillo (10.9.2007)
Secondo Rosy Bindi, davanti alla convocazione popolare di Grillo, è sbagliato parlare di qualunquismo e demagogia: è un fatto a cui, dice, «dobbiamo dare una risposta».
Aspettiamo quella risposta, convinti come siamo che la protesta che serpeggia oggi in Italia non sia soltanto pura antipolitica. Come invece sembrano essere certi freschi discorsi del senatore Francesco Cossiga, sul quale doverosamente ritorneremo in una prossima puntata.

Chiuse le citazioni a scopo documentario, debbo riconoscere che non ho mantenuto la promessa di scrivere su Francesco Cossiga. Che con la storia dei sassolini tolti dalle scarpe è stato il primo padre dell’antipolitica italiana, addirittura nel secolo scorso… nel 1990, facendo il «picconatore» e dichiarando: «In realtà io non esterno. Io comunico. Io non sono matto. Io faccio il matto. E’ diverso. Io sono il finto matto che dice le cose come stanno».

Ecco questo è il tema da sviluppare. Lo lascio a chi ne sa più di me.

Brava Jenaultima modifica: 2007-09-17T16:35:00+02:00da rimino
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